domenica 3 aprile 2011

IMPRESSIONISMO


Nel 1870 la Francia proclama la sua Terza Repubblica. Ciò avviene senza un ricambio della classe dirigente al potere e questo favorisce la progressiva ascesa di una borghesia moderata e conservatrice che instaura una politica di rigida difesa dei propri interessi di classe.
Nell’ultimo trentennio del secolo Parigi consolida il proprio aspetto borghese e festoso arricchendosi di teatri, musei, ristoranti, sale da ballo, casinò, e soprattutto di caffè. Ovunque erano novità e progresso: dalle imponenti stazioni ferroviarie (strutture in acciaio e vetro), fino ai grandi magazzini e a una delle più efficienti rete di metropolitana del mondo.
E’ in questa grande città che maturano i presupposti per la nascita dell’Impressionismo. Gli Impressionisti sono figli di quella borghesia imprenditoriale che aveva contribuito al prodigioso sviluppo economico della Parigi di fine secolo. La borghesia di cultura modesta e conservatrice era legata alla produzione artistica accademica. (fedeltà pedante, priva di originalità e fantasia, alle norme e al gusto tradizionali così come venivano insegnati nelle Accademie). Ed è proprio contro tale accademismo che gli impressionisti si scaglieranno.
In primo luogo esso non è organizzato né preordinato e si costituisce piuttosto per aggregazione spontanea, senza manifesti o teorie che ne spieghino le tematiche e le finalità. Giovani artisti che avevano in comune una gran voglia di fare e una forte insofferenza per la pittura ufficiale del tempo iniziarono a riunirsi nel Café Guerbois, all’inizio era un ritrovo casuale e saltuario e divenne in breve un appuntamento rigorosamente settimanale.
L’Impressionismo è una corrente artistica eterogenea che privilegia la spontaneità artistica. Si sviluppò soprattutto nella Francia del nord e in particolare a Parigi durante la belle epoque.
La sostanziale diversità degli Impressionisti risiede nel diverso modo che essi hanno di porsi in rapporto con la realtà esterna.
Non è più ammesso imprigionare gli spazi della rappresentazione pittorica nella ristretta visione del reticolo prospettico, ecco dunque spiegata, nei loro dipinti la quasi totale abolizione della prospettiva geometrica. Alla pittura impressionista manca la solida volumetria del disegno perché la volontà di bloccare l’attimo fuggente contrasta con le esigenze rappresentative convenzionali.


Ciò che conta in ogni rappresentazione è dunque l’impressione che un determinato stimolo esterno suscita nell’artista il quale, partendo dalle proprie sensazioni opera una sintesi sistematicamente tesa ad eliminare il superfluo per arrivare a cogliere la sostanza delle cose e delle situazioni, nel continuo tentativo di ricercare l’impressione pura.
Il pittore impressionista rappresenta il soggetto nel suo insieme, come giustapposizione di varie pennellate di colore puro tendenti a darci l’idea complessiva, più che a descrivercelo minuziosamente.
Sul piano tecnico questo fine viene perseguito con vari artifici. Innanzi tutto si ha l’abolizione quasi totale delle linee che contornano gli oggetti definendone i volumi.







Per quello che concerne il colore, gli impressionisti tendono ad abolire i forti contrasti chiaroscurali e a dissolvere il colore locale (cioè quello proprio dei singoli oggetti) in giustapposizioni di colori puri. Prendendo spunto dai progressi scientifici che si stavano compiendo nel campo dell’ottica de dei meccanismi della visione, essi teorizzavano che ogni colore non esiste di per sé ma in rapporto agli altri colori che ha vicino.
La Luce determina in noi la percezione dei vari colori e l’esperienza quotidiana ci insegna che ogni colore ci appare più o meno scuro in relazione alla quantità di luce che lo colpisce e alla presenza o meno di altri colori che ne esaltino o ne smorzino la vivacità.
La pittura impressionista vuol darci conto di questa estrema variabilità dei colori con la maggior immediatezza possibile, cercando di cogliere l’attimo fuggente, cioè le sensazioni di un istante, con la precisa consapevolezza che l’istante successivo potrà generare sensazioni del tutto diverse.
Le pennellate, pertanto, non sono fluide e lungamente studiate come avveniva nei dipinti accademici, ma date per veloci tocchi, virgolati, per picchiettature, per trattini e per macchiette con l’uso di pochi colori puri e con la rigorosa esclusione del nero e del bianco che, in effetti, sono dei non-colori.


L’artista impressionista non rappresenta più la realtà ma le sensazioni che essa gli suscita. E’ per questo motivo che egli deve essere il più rapido possibile nell’esecuzione del dipinto, al fine di evitare che le condizioni che determinano in lui tali impressioni vengano meno.



Quasi tutti i pittori impressionisti prediligevano dipingere en plein air, cioè all’aria aperta. Gli Impressionisti rifuggono dagli ateliers, preferendo i boschetti, i fiumi, un boulevard affollato di gente o, in caso di interni, quelli autentici offerti dalla loro città: un bar, un teatro o un cabaret.
Per questi artisti, la realtà è soggetta a un’evoluzione continua, un continuo divenire.
Partendo da questi presupposti gli Impressionisti cercano nei loro dipinti di rendere il senso della mobilità di tutte le cose. Ricorrente, a tale riguardo, è il tema dell’acqua che per sua stessa natura non si acquieta mai e che permette agli artisti di sbizzarrirsi nel riprodurne le mille possibili increspature di colore.
Ciò avviene con la giustapposizione di colori puri (primari e secondari) che, pur essendo diversificati sulla tela, si fondono nella rètina del nostro occhio consentendo al cervello di percepirli come colori omogenei di intensità e brillantezza enormemente superiori a quelle che avrebbero i corrispondenti colori separati.
Tutti gli Impressionisti imprimono alle proprie opere qualcosa di profondamente personale e soggettivo, rendendole interessanti non tanto per quello che narravano, che poteva essere anche banale, ma per come lo narravano, il che avveniva sempre in modo spregiudicato e personalissimo.
A questa importante maturazione ha contribuito l’invenzione della fotografia. Gli Impressionisti si sono spesso serviti, per la realizzazione delle loro opere, di molti materiali fotografici, giacché tale metodo di riproduzione meccanica della realtà li aiutava a cogliere dettagli e aspetti che l’occhio umano poteva non essere sempre in grado di percepire.
La loro pittura, venuto definitivamente meno l’obbligo di riprodurre la realtà, poteva partire da dove la fotografia si fermava, testimoniando impressioni e stati d’animo che anche il più perfetto obiettivo di una fotocamera non avrebbe comunque mai potuto percepire.
La data precisa d’inizio del movimento impressionista è il 15 aprile 1874 quando alcuni giovani artisti (fra i quali ricorderemo Claude Monet, Edgar Degas, Paul Cézanne, Pierre-Auguste Renoir) le cui opere erano state ripetutamente rifiutate dalle principali e prestigiose esposizioni ufficiali (i cosiddetti Salons), decisero di organizzare una mostra alternativa dei loro lavori e l’unica sede espositiva adatta alle loro tasche fu quella messa a disposizione dal celebre fotografo Felix Nadar che, tra i primissimi estimatori di quel nuovo modo di dipingere, cedette loro gratuitamente i locali del proprio rinomato studio.

Fonte: Itinerario nell'arte
G. Cricco F. P. Di Teodoro

Nessun commento:

Posta un commento