domenica 3 luglio 2011

L’ESPRESSIONISMO

L’Espressionismo è un movimento culturale d’avanguardia estremamente eterogeneo che si manifesta oltre che in pittura, anche in architettura, letteratura, teatro e cinema. Si sviluppa tra il 1905 e il 1925 nell’Europa centro-settentrionale, soprattutto in Germania.
Il termine “Espressionismo” deriva dal latino esprimere, cioè “spingere fuori”, “condurre all’esterno”. Come l’Impressionismo rappresentava una sorta di moto dall’esterno verso l’interno (da imprimere ovvero “portare all’interno”, “ricevere”; era, cioè, la realtà oggettiva a imprimersi nella coscienza soggettiva dell’artista), l’Espressionismo costituisce il moto inverso, dall’interno all’esterno: dall’anima dell’artista direttamente nella realtà, senza mediazioni ne filtri.
Egon Schiele, La Famiglia, 1917-18, olio su tela, Vienna, Osterreichische Galerie
 

L’espressionismo intende sottrarsi alla rappresentazione oggettiva della realtà per diventare il racconto, lirico o drammatico, del modo in cui l’artista sente e vive il mondo che lo circonda.
Nella tela La Famiglia di Egon Schiele risultano evidenti alcuni caratteri tipici di questa tendenza: i corpi sono nudi, il tratto irrequieto deforma brutalmente i contorni, i colori risultano cupi e antinaturalistici. L'artista non ricerca la bellezza formale, il nudo ha perso i suoi tratti di armoniosa sensualità, la famiglia stessa non è più il luogo della protezione: come l'uomo del dipinto, di fronte alla storia l'essere umano è nudo, indifeso, con occhi sbarrati e mani troppo grandi e inerti.
I soggetti della pittura espressionista sono scene di realtà metropolitana, nudi immersi nel paesaggio o scene di vita in interni. In ogni caso i colori sono enfatizzati e le forme esasperate, e spesso le opere sono pervase da un’ironia sottile e dolorosa, non di rado addirittura macabra.
La natura stessa dell'Espressionismo, inteso come proiezione immediata (e a volte addirittura scomposta) di sentimenti e stati d'animo estremamente soggettivi, è ricca di contenuti sociali, di spunti dialettici, di drammatica testimonianza della realtà. Ecco pertanto spiegata anche la durezza percettiva di tale arte, nella cui realizzazione sono stati banditi tutti gli illusori artifici della prospettiva e del chiaroscuro.
Nel 1905 quattro studenti di architettura dell'università di Dresda interrompono i propri studi per dedicarsi esclusivamente alla pittura. Nasce così Die Brucke (Il Ponte), un gruppo assolutamente diverso da quelli visti fino a ora. Il forte cemento della Brucke, sta nell'ideologia che accomuna i suoi componenti.
Negli ambiziosi intenti dei suoi promotori, imbevuti della filosofia di Nietzsche (volontà di potenza che si esprime nella liberazione delle forze primordiali che sono in noi), Die Brücke vuol porsi come l’ideale ponte tra vecchio e nuovo, contrapponendo all’Ottocento realista e impressionista un Novecento violentemente espressionista e antinaturalista. I principali esponenti erano Kirchner, Heckel e Nolde.
L’elemento che accomuna tutte le personalità del gruppo è l’espressione dell’impulso creativo. I soggetti sono abbastanza omogenei: si va da scene di realtà metropolitana, a nudi nel paesaggio o in interni, da gruppi di ballerine a scene di circo. In ogni caso, ricorrono un’esagerata enfatizzazione dei colori e una voluta spigolosità delle forme, sempre legate da un’ironia sottile e dolorosa, a volte addirittura macabra.
Si veda la “concretezza” simbolica che traspare dall'Autoritratto di Erich Heckel, del 1919, ove le ombre si dispongono sul volto non in un regolare tratteggio, ma in una linea spezzata talmente pronunciata da apparire una vistosa ferita, un'insanabile cicatrice dell'anima.
Erich Heckel, Autoritratto, 1919, xilografia a colori, Folkwang Museum

L'esponente più rappresentativo dell'associazione, nonché vera anima del gruppo, fu Ernst Ludwig Kirchner, le cui opere mostrano sin dagli anni giovanili un'intensità espressiva unica. Nel Nudo a mezza figura con le braccia sollevate (1910) l'artista ha ritratto sua compagna negli anni in cui viveva a Dresda, sullo sfondo di una ricca vegetazione. Con grande forza cromatica il corpo di Dodo si stacca dai verdi e marroni sturi della vegetazione e si offre, nudo, immediato e spontaneo,allo sguardo: i tratti decisi del volto, il rosa intenso del gomito e dei capezzoli, i riflessi azzurrati della luce che impreziosiscono il colore della sua pelle.
Ernest Ludwig Kirchner, Nudo a mezza figura con le braccia sollevate, 1910, olio su tela, Collezione privata.


CARATTERISTICHE DELLA PITTURA ESPRESSIONISTA
  • Distorsione dei tratti figurativi ed esasperazione della forma.
  • Eliminazione dell’illusionismo prospettico.
  • Liberazione della forza del colore.
  • Proiezione immediata sulla tela di stati d’animo e sentimenti soggettivi.
  • Ricerca introspettiva, spesso tormentata, dell’artista.
  • Ritorno ai primitivi e rivalutazione dell’arte gotica tedesca.
  • Trasfigurazione della realtà oggettiva sulla base della visione personale dell’artista.
  • Trasposizione dell’anima dell’artista direttamente nella realtà senza mediazione né filtri.
    Ernst Luddwig Kirchner, Postdamer Platz, 1914, olio su tela, Berlino, Neue Nationalgalerie
In Postdamer Platz l'artista ha cercato di tradurre in pittura l'angoscia esistenziale, il malessere diffuso e generalizzato vissuto dall'uomo contemporaneo. Le forme acute e le linee spezzate delle scene di strada berlinesi non raccontano solo il ritmo frenetico della nuove era, ma fanno affiorare in superficie ciò che viene accuratamente nascosto sotto gli abiti eleganti: la solitudine. Forse non è un caso che lo sfarzoso cappello con veletta della signora vestita in nero suggerisca l'immagine di una prigione, che chiude il volto dietro le sbarre. Come in tutti quadri di questo periodo, l'autore ha posto le persone vicine, ma senza mai farle procedere insieme: anche quando vanno nella stessa direzione, esse sono mute, isolate, chiuse a qualsiasi genere di dialogo. Le due donne elegantemente vestite sembrano procedere spedite, anche se entrambe si trovano ancora sull'isolotto della piazza, un grande cerchio che, sebbene decentrato all'interno della composizione, attira subito la nostra attenzione. Il modulo formale del cerchio è, più o meno velatamente, presente nel dipinto: lo richiamano il cappello della donna in nero, l'edificio con balaustra nell'angolo in alto a sinistra e l'orologio dello stabile porticato, forse la stazione ferroviaria, sullo sfondo. Forma perfetta per eccellenza, il cerchio è stato impiegato da Kirchner al fine di dare maggiore risalto, per contrapposizione, all'andamento aspro delle linee e del segno.
Le figure sono esageratamente allungate, i dettagli dei corpi e delle vesti spigolosi, i profili delle architetture taglienti: tutto è reso per mezzo di angoli acuti, con un segno continuamente interrotto. Il tratteggio esasperato con cui il pittore ha delineato le forme carica l'opera di una vibrazione incessante, che sembra tradurre la voce di sottofondo della città in continuo movimento. Anche la materia cromatica ha subito lo stesso trattamento. Pochi sono i colori impiegati, dalle tonalità fredde, un po' acide; le pennellate non si distendono sulla tela, ma si scontrano, saettanti filamenti di colore che si espandono in direzioni diverse.
La qualità quasi incisoria del tratto e l'aguzza e tagliente distorsione delle forme nascono dall'elaborazione attuata da Kirchner della primitiva tradizione gotica e del Quattrocento tedesco.
Cronologicamente il primo gruppo che si possa definire espressionista è quello francese dei Fauves, che espose a Parigi al Salon d’Automne del 1905: di esso facevano parte, tra gli altri, Matisse, Vlaminck e Derain.
Il gruppo dei Fauves, pur non essendo sorto come movimento, si riconosceva in alcune comuni convinzioni: il dipinto deve dare spazio essenzialmente al colore; non secondo l’impressione bisogna dipingere, ma in relazione al proprio sentire interiore; si deve, cioè, esprimere se stessi e rappresentare le cose dopo averle fatte proprie; la pittura, dovendo esprimere le sensazioni dell’artista di fronte all’oggetto da riprodurre, deve essere istintiva e immediata; il colore va svincolato dalla realtà che rappresenta. Da tale ultima affermazione consegue che l’interesse dell’artista non deve essere indirizzato verso la riproduzione realistica della natura.
A ben riflettere, allora, siamo in presenza della prima vera rottura con l'Impressionismo e della prima esperienza pittorica moderna che non tiene conto del rapporto di identità tra colore reale dell’oggetto e colore impiegato per la sua rappresentazione pittorica. 
André Derain, Il ponte di Charing Cross, 1906, olio su tela, Parigi, Musée d'Orsay
 
Il tema del paesaggio fu sicuramente uno dei più amati dai fauves, in particolare da André Derain (1880-1954), pittore dallo stile luminoso e solare che soggiornò ripetutamente in Inglilterra, raffigurandone spesso i paesaggi urbani. Nel dipinto Il ponte di Charing Cross (1906) la città di Londra è presente sullo sfondo e riconoscibile per la silhouette di torri ed edifici, mentre il primo piano è occupato dal viale trafficato che segue l'ampia curva del Tamigi. L'occhio dello spettatore gode della dilatata prospettiva generata dal punto di vista rialzato, ma soprattutto resta avvinto dall'uso del tutto innaturale del colore.
Altri artisti europei manifestarono poetiche vicine a quelle dei Fauves e degli espressionisti tedeschi. In Austria si possono considerare espressioniste le opere di Schiele e Kokoschka. 
Oskar Kokoschka, La sposa del vento, (La Tempesta), 1914, Olio su tela, Basilea, Kunstmuseum
 Ne La sposa del vento, noto anche come La tempesta, l'artista esprime nel modo più intenso e compiuto l'esigenza di proiettare fuori di sé le proprie tensioni vitali, i propri dubbi, le proprie angosciose contraddizioni. La grande tela, risalente al 1914, rappresenta infatti la fine del travolgente e tormentato rapporto d'amore che, per oltre due anni, aveva legato l'artista ad Alma Mahler.
I due amanti sono rappresentati in una sorta di scomposto letto di nubi, circondati dalla tempesta di passioni, vissute con l'intensità devastante d'un amore totale. Ma al convulso agitarsi della scena si oppone il sonno sereno della donna che, ancora ignara della prossima fine, dorme tranquilla e fidente, rannicchiandosi con sensuale tenerezza contro il corpo nudo dell'amato. Kokoschka si rappresenta desto, con gli occhi che guardano lontano e le nodose mani intrecciate. Sta pensando a quanto di dolce e di irripetibile vi è stato in quel loro rapporto di sesso e di intelletto e sa che al risveglio tutto sarà irrimediabilmente finito.
I colori torbidi e impastati e il mulinare di uno sfondo misterioso partecipano con materiale evidenza al disordine interiore e all'angoscia che dilaniano l'autore.


Fonti:  Itinerario nell'arte, G Cricco, F.P. Di Teodoro.
L'arte tra noi, Il Novecento, E. Demartini, C. Gatti, E. P. Villa.
Moduli di Arte, Dal neoclassicismo alle avanguardie, C. Calza, E. Varini.