domenica 27 dicembre 2015

Edgar Degas



Già alla fine degli anni cinquanta gli impressionisti avevano iniziato a prediligere temi contemporanei, ispirati alla vita quotidiana parigina: le strade, la folla, la Senna, i ponti di ferro, i caffè, gli spettacoli, le ballerine e i musicisti dei teatri, le corse dei cavalli, le stazioni, il fumo delle locomotive, dei battelli e delle sigarette. Essi erano interessati soprattutto alle innumerevoli variabili di luce, colore, inquadratura o atmosfera offerte da tali soggetti.
Monet, Degas, Renoir e gli altri impressionisti mantennero un certo distacco dalle problematiche politiche e sociali, pur facendo della modernità l’elemento caratterizzante della propria poetica.

Edgar-Hilaire Germain Degas, nasce nel 1834 da una famiglia aristocratica di origine italiana,  presso la quale trascorre una fanciullezza serena.  Il padre lo indirizza all’amore per l’arte ed e con lui che visita per la prima volta il Museo del Louvre, dove impara ad ammirare i grandi pittori  del Rinascimento italiano. La sua formazione successiva avviene in ambiente accademico e i suoi primi modelli di riferimento sono il neoclassico Ingres e il romantico Delacroix.  Forse proprio a causa dell’influsso di questi maestri la tecnica pittorica di Degas non abolisce mai completamente il disegno e anche la pennellata non è mai così frammentata ed evanescente come in altri impressionisti. Degas, infine, continua a prediligere la pittura in atelier rispetto a quella en plein air in quanto, secondo lui, è  preferibile dipingere ciò che si è sedimentato nella memoria piuttosto che ciò che si ha sotto gli occhi.
Da queste premesse appare subito evidente come la personalità artistica di Degas sia articolata e complessa. Degas fu un osservatore accorto e un abile disegnatore. Due erano le passioni dell’artista: da un lato il rigore nella costruzione delle immagini, secondo quanto aveva imparato dallo studio dei grandi maestri, dall’altro l’interesse per la realtà contemporanea. Degas seppe più degli altri esponenti del gruppo ritrarre la vita nella sua spontanea immediatezza.
Intorno agli anni settanta, Degas iniziò a frequentare assiduamente il mondo del teatro e le corse dei cavalli, le lezioni di ballo, le prove dei concerti e gli spettacoli al Teatro dell’Opera, registrando in numerosi schizzi preparatori pose, gesti, movimenti e colori.

L’attività di Degas disegnatore è proficua e vastissima. In aperta controtendenza con l’impostazione impressionista, infatti, egli dedica tempo e passione soprattutto ai disegni e agli schizzi preparatori. 




Edgar Degas, Nudo di donna seduta di fronte,
Mina di piombo e sfumino su carta quadrettata,
Musée d'Orsay

E’ il caso di Nudo di donna seduta di fronte. La giovane modella è seduta con la gamba destra ripiegata a terra e la sinistra  raccolta verticalmente. In tal modo il ginocchio diventa l’appoggio per il braccio sinistro che regge una testa dal volto intento e pensoso. La mano destra poggiata a terra e il braccio conseguentemente teso verso il basso generano il rialzamento della spalla e un lieve insaccamento del busto,  due elementi che rimandano senz’altro all’osservazione dal vero. La precisione e la sicurezza del segno, così come la morbidezza sfumata del chiaroscuro rendono il bozzetto un’opera già perfettamente autonoma e conclusa, libera dalle convenzioni accademiche (la posa non è certamente classica), ma nel contempo anche estranea a qualsiasi compiacimento erotico.

La lezione di danza
La lezione di danza è il primo dei grandi dipinti appartenenti alla serie delle ballerine. Realizzato tra il 1873 e il 1875, dunque a cavallo della prima esposizione impressionista nello studio di Nadar (1874), contiene in sé già tutti i temi della maturità artistica di Degas. 
In esso l’artista rappresenta il momento in cui una giovane ballerina sta provando dei passi di danza sotto l’occhio vigile del maestro, mentre le altre ragazze, disposte in semicircolo, osservano attendendo a loro volta il proprio turno di prova.

Edgar Degas, La lezione di danza, 1873-1875
Olio su tela, 85x75 cm.
Parigi, Musée d'Orsay.


Il taglio diagonale che Degas impone al dipinto è di tipo fotografico, come in un’istantanea, alcune figure risultano fuoriuscire dall’inquadratura. Ciò suggerirebbe una pittura di getto, atta a cogliere l’impressione d’un momento. Il punto di vista abbassato conferisce alla scena un’ampia profondità spaziale.
Il grande equilibrio compositivo, invece, e gli stessi tempi di realizzazione - quasi tre anni- stanno a testimoniare come in realtà l’opera sia frutto di un difficile e meditato lavoro di atelier, condotto su decine di schizzi preparatori.
I gesti delle ballerine sono indagati con attenzione quasi ossessiva, colpisce il realismo che si manifesta nella varietà delle pose. Quella con il fiocco giallo seduta sul pianoforte, ad esempio, si sta grattando la schiena con la mano sinistra; quella di spalle con il fiocco rosso fra i capelli, invece, sta sventolandosi con un ventaglio. Tra le altre, poi, v’è quella che si accomoda l’orecchino, quella che si sistema l’acconciatura, quella che osserva, quella che ride, quella che parla con la compagna: come in ogni classe scolastica quando, sul finire dela lezione, l’atmosfera si fa più rilassata e informale. Cogliere questi aspetti marginali ma significativi del quotidiano è una scelta precisa dell’artista.
Degas ricostruisce l’atmosfera della sala con attenzione e affetto, inserendo le sue fanciulle in una luce morbida che ne ingentilisce ulteriormente le movenze.  Tale luce proviene in parte da destra, dove immaginiamo esserci una grande finestra, e in parte dal fondo, attraverso un’altra finestra della stanza attigua.
Con raffinati e delicati passaggi di colore, Degas ha colto la brillantezza dei fiocchi di raso colorati, la vaporosa leggerezza del tulle bianco, i riflessi delle capigliature.
Dal punto di vista tecnico, in opposizione alle teorie impressioniste, egli non rifiuta né il disegno prospettico (che individua un punto di fuga esterno al dipinto e una linea d’orizzonte particolarmente alta), né la sottolineatura dei particolari (evidentissima nella figura del maestro, il cui volume netto e definito la rende il fulcro di tutta la composizione).


Edgar Degas, Schema prospettico.




Anche l’abolizione del bianco e del nero in quanto non-colori appare qui ampiamente disattesa. Bianchi sono infatti i tutù delle fanciulle, nei quali il senso di vaporosa leggerezza è però sottolineato dalla presenza di sfumature dello stesso colore dei fiocchi che portano in vita e neri, invece, sono i nastrini di raso al collo.
Il tono complessivamente neutro del parquet (bruno) e delle pareti (verdi), sul quale si stagliano i candidi costumi delle ballerine, contribuisce a dare all’insieme un senso di quieto realismo. Degas riesce pienamente nel intento di far coesistere il rigore formale derivato dall’amore per Ingres e per i pittori rinascimentali con la realtà di un’epoca in cui il quotidiano si era sostituito alla narrazione mitologica e le ballerine alle divinità olimpiche.


L’assenzio

L’opera, realizzata tra il 1875 e il 1876,  è ambientata all’interno del Café Nouvelle-Athènes di Place Pigalle che, insieme al Café Guerbois, era uno dei luoghi di ritrovo prediletti dagli Impressionisti.

Edgar Degas, L'assenzio, 1875-1876.
Olio su tela, 92x68 cm.
Parigi, Musée d'Orsay


La composizione (ma in questo caso sarebbe più corretto chiamarla inquadratura, stante l’analogia con una ripresa fotografica) è volutamente squilibrata verso destra, quasi a dare il senso di una visione improvvisa e casuale. L’immagine invece è costruita, in modo estremamente rigoroso e quasi scientifico,  come ben si evidenzia soprattutto dalla prospettiva obliqua secondo cui sono orientati tavolini di marmo, quasi che l’artista volesse introdurci nel locale seguendo il loro allineamento.

Schema prospettico dell'Assenzio.

Il punto di vista è quello alto e decentrato di un ipotetico osservatore invisibile che, stando seduto a un altro tavolino, può osservare senza essere visto a sua volta e riuscire così a cogliere la spontanea naturalezza di ogni gesto.
I due personaggi (in realtà la modella professionista e attrice Ellen Andrée e l’amico pittore e intellettuale Marcellin Desboutin) recitano il ruolo di due poveracci: una prostituta di periferia, agghindata in modo pateticamente vistoso e un clochard (il tipico barbone parigino) dall’aria burbera e trasandata. Più che a un ritratto, si è di fronte a un quadro di genere, una delle migliori rappresentazioni data da Degas della vita parigina.
Dinanzi alla donna, sul piano di marmo del tavolino, vi è il bicchiere verdastro dell’assenzio che dà il titolo al dipinto. Sembra infelice e malinconica, stordita dall’alcol. Davanti al barbone corpulento e trascurato, sta invece un calice di vino.  Entrambi i personaggi hanno lo sguardo perso nel vuoto, come se stessero seguendo il filo invisibile dei loro pensieri. Pur essendo seduti accanto sono fra loro lontanissimi, quasi a simboleggiare quanto la solitudine possa renderci estranei e incapaci di comunicare.
L’atmosfera del locale è pesante come lo stato  d’animo dei due avventori, imprigionati in uno spazio squallido e angusto di cui l’artista ci offre una descrizione impietosamente realistica. Alle spalle dei due personaggi, uno specchio appannato ne riflette le sagome in modo confuso ed evanescente.  Il dettaglio dello specchio movimenta con linee verticali la parete, che altrimenti sarebbe risultata piatta, e rimarca al contempo l’allineamento della panca di legno e dei tavolini di marmo.
Degas suggerì la profondità dello spazio reale ponendo il tavolo in primo piano, sopra il quale sono appoggiati dei giornali montati su aste di legno, perpendicolarmente rispetto a quello più lontano. La linea a zigzag che viene a crearsi guida lo sguardo dell’osservatore prima a sinistra e poi a destra, portando a fissarsi sulla figura femminile, vera protagonista del dipinto.
Le diagonali perpendicolari dei tre tavoli definiscono una direzione prospettica esterna del quadro; la donna è posta al centro eppure la dissimmetria della composizione la fa percepire spostata a destra; la posizione e lo sguardo dell’uomo portandoci verso un punto esterno al quadro, ne dilatano percettivamente lo spazio.
Intorno agli anni Ottanta del secolo Degas si avvicina anche alla scultura. I soggetti delle sue vivaci cere, sono soprattutto cavalli in corsa, ballerine colte in un passo di danza e figure femminili intente alla toilette.

Edgar Degas, Piccola danzatrice di 14 anni, 1879-1881
Bronzo patinato, gonnellino in cotone, nastro di raso
98x35,2x24,5 cm.
Parigi, Musée d'Orsay


Un caso limite è costituito dalla Piccola danzatrice di quattordici anni, del 1880, en cera del colore della terracotta, per la quale l’artista previde un completamento con elementi reali: capelli veri, un tutù di tulle bianco, scarpette. L’artista riesce a restituirci con straordinaria naturalezza il senso del movimento, quasi a sfidare le leggi fisiche dell’equilibrio.






Fonti:
Le basi dell’arte, Dal Neoclassicismo a oggi, Elena Demartini, Chiara Gatti, Lavinia Tonetti, Elisabetta P. Villa.
Itinerario nell’arte. Versione gialla compatta multimediale. Dal Barocco al Postimpressionismo. Giorgio Cricco, Francesco Di Teodoro.
Storia dell’arte, L’Ottocento, Gillo Dorfles, Francesco Laurocci, Angela Vettese.




venerdì 23 ottobre 2015

CLAUDE MONET



L’autore
Dopo un’iniziale esperienza come caricaturista, Claude Monet (Parigi, 1840 – Giverny, 1926) viene avviato alla pittura di paesaggio en plein air da Eugène Boudin, incontrato nel 1858.  I primi quadri impressionisti, frutto di un attento studio dal vero degli effetti di rifrazione della luce e dei riflessi sull’acqua, delle leggi dei colori complementari e della luce-colore risalgono ai tardi anni sessanta. Nella formazione di Monet, meno raffinata di quella di Manet e di Edgar Degas, l’interesse per la fotografia è fondamentale, in relazione all’importanza che per il pittore riveste lo studio di ciò che “impressiona” la retina.

Claude Monet, Regate ad Argenteuil, 1872, olio su tela, Parigi, Musée d'Orsay

Ugualmente importante per l’evoluzione del suo linguaggio formale è la pittura di John Constable (conosciuta a Londra nel 1870) e di Turner, che lo influenza nella tecnica dell’accostamento di colori complementari puri.
Di origini familiari assai modeste, trascorre la propria fanciullezza a Le Havre. Fin da giovanissimo si dimostra assai versato nel disegno e le sue scherzose caricature sono molto apprezzate tra parenti e amici.
L’interessamento di una ricca zia dette al giovane Monet la possibilità di trasferirsi a Parigi per frequentare una scuola d’arte.
Nonostante le assicurazioni date in famiglia però, egli non si iscrisse mai a dei regolari corsi accademici e le sue prime frequentazioni furono quelle degli ambienti artistici vicini al più anziano Manet, già alle prese fin da allora con le bizzrre giurie dei Salons.
Nel 1862 Monet è a Parigi dove conosce, tra gli altri, Pissarro e Degas. Al posto dell’insegnamento accademico, percorreva la campagna dipingendo en plein air e reagendo ai mutevoli effetti della luce e della percezione dei colori. L’incontro con Manet e con gli altri frequentatori del Café Guerbois arricchì enormemente il suo bagaglio d’esperienze.
Quando, nel 1874, ebbe luogo la prima esposizione degli Impressionisti, fu proprio un dipinto che Monet aveva realizzato due anni prima, Impressione, sole nascente, a far nascere l’etichetta del gruppo, allorché il critico della rivista “Charivari” Claude Leroy  si riferì al titolo dell’opera per ironizzare sugli artisti espositori, definendoli, appunto, “impressionisti”.
Per un certo periodo si trasferisce ad Argenteuil, un paesetto circa trenta kilometri a nord-ovest della capitale, dove può dipingere standosene isolato dal mondo, completamente immerso nella natura e nelle sensazioni che essa gli suscita.
I soggetti preferiti da Monet, che spesso lavorava su un battello adibito a studio, erano la Senna e le barche a vela; l’artista tuttavia non trascurava neanche la rappresentazione della vita cittadina, come, per esempio, nei sette dipinti dedicati alla Stazione Saint-Lazare. Lo scrittore  Emile Zola, che da parte sua cercava di tradurre nel romanzo il movimento della vita moderna, ne era entusiasta.

Claude Monet, La Stazione Saint-Lazare, 1877, olio su tela, Parigi, Musée d'Orsay


Impressione, sole nascente
Il dipinto Impressione, sole nascente, realizzato nel 1872, inizialmente non aveva titolo e quando, in occasione dell’esposizione del 1874 nello studio di Nadar, gli chiesero che cosa scrivere sul catalogo, risposi: “scrivete Impressione”.
Non vi è alcuna traccia di disegni preparatori e dunque il colore è dato direttamente sulla tela, con pennellate brevi e veloci.  Ogni oggettività naturalistica del soggetto è superata e stravolta dalla volontà di Monet di trasmetterci attraverso il dipinto le sensazioni provate osservando l’aurora. Egli non vuole più descrivere la realtà ma vuole cogliere l’impressione di un attimo, diversa e autonoma rispetto a quella dell’attimo immediatamente precedente e di quello successivo.
L’uso giustapposto di colori caldi (il rosso e l’arancio) e freddi (il verde azzurrognolo) rende in modo estremamente suggestivo il senso della nebbia del mattino attraverso il cui manto si fa lentamente strada un sole inizialmente pallido, i cui primi riflessi aranciati guizzano sul mare, evidenziati con straordinaria incisività da pochi e già sapientissimi tocchi di pennello.

Claude Monet, Impressione: sole nascente, 1872, olio su tela, Parigi, Musée Marmottan


Cattedrale di Rouen
Approfittando di un soggiorno forzato a Rouen nel 1892, Monet inizia la serie ispirata alla cattedrale, cui lavorerà per più di due anni.  I cinquanta dipinti della serie, datati indistintamente 1894,  risalgono infatti al biennio 1892-1894. L’artista dipinge la facciata dalla finestra della medesima stanza d’affitto e da una bottega vicina in diverse condizioni climatiche (sole, pioggia, nebbia) e a diverse ore del giorno.  La cattedrale di Rouen è riprodotta nelle più diverse situazioni di luce, determinate dalle condizioni atmosferiche e dall’ora del giorno, con il ricorso a una gamma cromatica molto ampia. Alla variabile atmosferica si somma, nella serie di Rouen, quella delle diverse angolazioni da cui è vista la facciata.










Claude Monet, alcune delle della serie La Cattedrale di Rouen


La serie delle cattedrali segue quelle dedicate ai Covoni e ai Pioppi: la ripetizione del medesimo soggetto consente al maturo artista, da sempre restio a considerare definitivamente conclusa un’opera, una rielaborazione continua.  Monet spiegò le ragioni della pittura “in serie”. Raccontò che all’inizio aveva immaginato due tele, una per il cielo grigio e l’altra per una giornata di sole. Dipingendo i Covoni scoprì che gli effetti della luce cambiavano continuamente, e  decise di registrare la sucessione di mutamente in una serie di tele, una per ogni specifico effetto. In questo modo riuscì a ottenere quella che chiamava “istantaneità”, e insistette sempre sull’importanza di smettere di lavorare su una tela quando l’effetto di luce cambiava, per continuare su un’altra, “in modo da ottenere l’impressione vera di un aspetto della natura e non un dipinto composito”
Diciotto di queste tele che hanno come soggetto la facciata, ripresa in una sequenza che va dall’alba al crepuscolo, Monet le termina in studio, quando non ha più il modello davanti agli occhi.
La facciata della famosa cattedrale gotica perde la sua precisa identità, anche per il punto di vista ravvicinato che stravolge i contorni (senza contare che il taglio adottato è tale da escludere, in alcuni “pezzi” della serie, certe parti, alla sommità o ai lati, del monumento).
Armonia bianca, nasce dall’impatto tra la luce accecante del primo sole e la tonalità sorda della pietra della cattedrale, che smorza il bagliore dell’alba e lo riflette nell’aria tersa. Il bianco, il non-colore della luce, si ottiene sommando i sette colori dell’iride, come avvertono per primi gli impressionisti. Già all’inizio degli anni settanta Monet aveva dedicato particolare attenzione agli effetti della luce sulle superfici chiare, studiando la proiezione delle ombre sulla neve, sulla quale non poteva esserci del nero, mentre vi comparivano i colori riflessi dagli oggetti che proiettavano quelle stesse ombre.  Per Armonia bianca l’artista adotta una posizione leggermente laterale, centrando il dipinto sulla parte sinistra della facciata e sulla torre di San Romano: gli edifici adiacenti rafforzano il carattere realistico dell’immagine.
Il monumento gotico, disperso in uno spazio le cui uniche coordinate sono le piccole abitazioni e il volo di rondini che suggerisce l’altezza vertiginosa della torre, non ha più volume, ma è ridotto a uno schermo obliquo, un “tessuto” di colori creato dalla luce radente del mattino. L’inquadratura ravvicinata accentua quest’effetto, ingrandendo l’immagine fino a farle occupare l’intera superficie del dipinto e riducendola a una visione parziale.
Il pittore adotta una tecnica rapida, fatta di pennellate rapprese, di tocchi di virgole, evita di sfumare i colori e di mescolarvi il bianco o il nero per schiarirli o scurirli. Le ombre sono rese non tramite toni neutri, quelli che si otterrebbero dalla mezcolanza, ma giustapponendo e sovrapponendo spessi tocchi di colore puro, che si influenzano reciprocamente, a un diverso grado di luminosità rispetto alle parti in pieno sole. Dalla stratificazione dei colori risulta una matericità, cioè uno spessore materiale del colore sulla tela, che restituisce le vibrazioni date dalla scabrosita della pietra scolpita. La forma, liberata dal più piccolo residuo di linea di contorno, è definita dall’incidenza della luce.
Nonostante l’interesse prevalente per gli effetti di luce e di colore, in questo periodo di maturità il dibattito contemporaneo sulla pittura, orientato da una nuova sensibilità per la composizione e per l’immagine portatrice di significato, in opposizione al frammento e all’ impressione, suggerisce a Monet una rinnovata attenzione al soggetto, al contenuto. La cattedrale gotica, con la sua monumentalità, la sua magnificenza e il suo valore di luogo sacro, conferisce al dipinto un’intensità mistica  inedita nei paesaggi e nelle colazioni sull’erba. La veduta, perfezionata prima come impressione ottica, diviene ora simbolo di una realtà interiore.






Fonti:
Le basi dell'arte, Dal Neoclassicismo a oggi, Elena Demartini, Chiara Gatti, Lavinia Tonetti, Elisabetta P. Villa.
Storia dell'arte, L'Ottocento, Gillo Dorfles, Francesco Laurocci, Angela Vettese.
Itinerario nell'arte. Volume 3, Dall'Età dei Lumi ai giorni nostri. Giorgio Cricco, Francesco Di Teodoro.
Moduli di Arte, Dal Neoclassicismo alle avanguardie,  Rielaborazione di testi di Storia dell’arte italiana a cura di: Clara Calza, Edoardo Varini.




















domenica 27 settembre 2015

PABLO PICASSO E LE SUE PASSIONI

MUSEO REGIONALE AGOSTINO PEPOLI

11 ottobre/8 dicembre 2015
TRAPANI

"Por desgracia uso las cosas según me lo dicta mi pasión"







Oltre 100 opere di Pablo Picasso per il Museo Regionale Agostino Pepoli di Trapani.  Le opere scelte sono un percorso esaustivo e completo del lavoro del Artista, alla scoperta delle passioni che lo hanno accompagnato in tutta la sua vita e nell'evoluzione del suo linguaggio artistico.
Le opere in mostra, raccontano, nei suoi contenuti più autentici, i temi e le passioni, come il teatro e il circo, la tauromachia, le donne e la politica, che hanno dato vita alla creatività di Picasso e ne hanno influenzato la vicenda umana e quella artistica.
Tra le opere grafiche in mostra, la serie Tauromachia ispirata dal più classico trattato sula corrida scritto da José Delgado nel 1796.
La passione per il teatro, la poesia e la letteratura è espressa da Il Tricorno, I Venti Poemi di Góngora e ancora Le Cocu Magnifiche e La Célestine.
Inoltre, in esposizione, una delle più significative e importanti serie dell'artista: I Saltimbanchi.