venerdì 23 ottobre 2015

CLAUDE MONET



L’autore
Dopo un’iniziale esperienza come caricaturista, Claude Monet (Parigi, 1840 – Giverny, 1926) viene avviato alla pittura di paesaggio en plein air da Eugène Boudin, incontrato nel 1858.  I primi quadri impressionisti, frutto di un attento studio dal vero degli effetti di rifrazione della luce e dei riflessi sull’acqua, delle leggi dei colori complementari e della luce-colore risalgono ai tardi anni sessanta. Nella formazione di Monet, meno raffinata di quella di Manet e di Edgar Degas, l’interesse per la fotografia è fondamentale, in relazione all’importanza che per il pittore riveste lo studio di ciò che “impressiona” la retina.

Claude Monet, Regate ad Argenteuil, 1872, olio su tela, Parigi, Musée d'Orsay

Ugualmente importante per l’evoluzione del suo linguaggio formale è la pittura di John Constable (conosciuta a Londra nel 1870) e di Turner, che lo influenza nella tecnica dell’accostamento di colori complementari puri.
Di origini familiari assai modeste, trascorre la propria fanciullezza a Le Havre. Fin da giovanissimo si dimostra assai versato nel disegno e le sue scherzose caricature sono molto apprezzate tra parenti e amici.
L’interessamento di una ricca zia dette al giovane Monet la possibilità di trasferirsi a Parigi per frequentare una scuola d’arte.
Nonostante le assicurazioni date in famiglia però, egli non si iscrisse mai a dei regolari corsi accademici e le sue prime frequentazioni furono quelle degli ambienti artistici vicini al più anziano Manet, già alle prese fin da allora con le bizzrre giurie dei Salons.
Nel 1862 Monet è a Parigi dove conosce, tra gli altri, Pissarro e Degas. Al posto dell’insegnamento accademico, percorreva la campagna dipingendo en plein air e reagendo ai mutevoli effetti della luce e della percezione dei colori. L’incontro con Manet e con gli altri frequentatori del Café Guerbois arricchì enormemente il suo bagaglio d’esperienze.
Quando, nel 1874, ebbe luogo la prima esposizione degli Impressionisti, fu proprio un dipinto che Monet aveva realizzato due anni prima, Impressione, sole nascente, a far nascere l’etichetta del gruppo, allorché il critico della rivista “Charivari” Claude Leroy  si riferì al titolo dell’opera per ironizzare sugli artisti espositori, definendoli, appunto, “impressionisti”.
Per un certo periodo si trasferisce ad Argenteuil, un paesetto circa trenta kilometri a nord-ovest della capitale, dove può dipingere standosene isolato dal mondo, completamente immerso nella natura e nelle sensazioni che essa gli suscita.
I soggetti preferiti da Monet, che spesso lavorava su un battello adibito a studio, erano la Senna e le barche a vela; l’artista tuttavia non trascurava neanche la rappresentazione della vita cittadina, come, per esempio, nei sette dipinti dedicati alla Stazione Saint-Lazare. Lo scrittore  Emile Zola, che da parte sua cercava di tradurre nel romanzo il movimento della vita moderna, ne era entusiasta.

Claude Monet, La Stazione Saint-Lazare, 1877, olio su tela, Parigi, Musée d'Orsay


Impressione, sole nascente
Il dipinto Impressione, sole nascente, realizzato nel 1872, inizialmente non aveva titolo e quando, in occasione dell’esposizione del 1874 nello studio di Nadar, gli chiesero che cosa scrivere sul catalogo, risposi: “scrivete Impressione”.
Non vi è alcuna traccia di disegni preparatori e dunque il colore è dato direttamente sulla tela, con pennellate brevi e veloci.  Ogni oggettività naturalistica del soggetto è superata e stravolta dalla volontà di Monet di trasmetterci attraverso il dipinto le sensazioni provate osservando l’aurora. Egli non vuole più descrivere la realtà ma vuole cogliere l’impressione di un attimo, diversa e autonoma rispetto a quella dell’attimo immediatamente precedente e di quello successivo.
L’uso giustapposto di colori caldi (il rosso e l’arancio) e freddi (il verde azzurrognolo) rende in modo estremamente suggestivo il senso della nebbia del mattino attraverso il cui manto si fa lentamente strada un sole inizialmente pallido, i cui primi riflessi aranciati guizzano sul mare, evidenziati con straordinaria incisività da pochi e già sapientissimi tocchi di pennello.

Claude Monet, Impressione: sole nascente, 1872, olio su tela, Parigi, Musée Marmottan


Cattedrale di Rouen
Approfittando di un soggiorno forzato a Rouen nel 1892, Monet inizia la serie ispirata alla cattedrale, cui lavorerà per più di due anni.  I cinquanta dipinti della serie, datati indistintamente 1894,  risalgono infatti al biennio 1892-1894. L’artista dipinge la facciata dalla finestra della medesima stanza d’affitto e da una bottega vicina in diverse condizioni climatiche (sole, pioggia, nebbia) e a diverse ore del giorno.  La cattedrale di Rouen è riprodotta nelle più diverse situazioni di luce, determinate dalle condizioni atmosferiche e dall’ora del giorno, con il ricorso a una gamma cromatica molto ampia. Alla variabile atmosferica si somma, nella serie di Rouen, quella delle diverse angolazioni da cui è vista la facciata.










Claude Monet, alcune delle della serie La Cattedrale di Rouen


La serie delle cattedrali segue quelle dedicate ai Covoni e ai Pioppi: la ripetizione del medesimo soggetto consente al maturo artista, da sempre restio a considerare definitivamente conclusa un’opera, una rielaborazione continua.  Monet spiegò le ragioni della pittura “in serie”. Raccontò che all’inizio aveva immaginato due tele, una per il cielo grigio e l’altra per una giornata di sole. Dipingendo i Covoni scoprì che gli effetti della luce cambiavano continuamente, e  decise di registrare la sucessione di mutamente in una serie di tele, una per ogni specifico effetto. In questo modo riuscì a ottenere quella che chiamava “istantaneità”, e insistette sempre sull’importanza di smettere di lavorare su una tela quando l’effetto di luce cambiava, per continuare su un’altra, “in modo da ottenere l’impressione vera di un aspetto della natura e non un dipinto composito”
Diciotto di queste tele che hanno come soggetto la facciata, ripresa in una sequenza che va dall’alba al crepuscolo, Monet le termina in studio, quando non ha più il modello davanti agli occhi.
La facciata della famosa cattedrale gotica perde la sua precisa identità, anche per il punto di vista ravvicinato che stravolge i contorni (senza contare che il taglio adottato è tale da escludere, in alcuni “pezzi” della serie, certe parti, alla sommità o ai lati, del monumento).
Armonia bianca, nasce dall’impatto tra la luce accecante del primo sole e la tonalità sorda della pietra della cattedrale, che smorza il bagliore dell’alba e lo riflette nell’aria tersa. Il bianco, il non-colore della luce, si ottiene sommando i sette colori dell’iride, come avvertono per primi gli impressionisti. Già all’inizio degli anni settanta Monet aveva dedicato particolare attenzione agli effetti della luce sulle superfici chiare, studiando la proiezione delle ombre sulla neve, sulla quale non poteva esserci del nero, mentre vi comparivano i colori riflessi dagli oggetti che proiettavano quelle stesse ombre.  Per Armonia bianca l’artista adotta una posizione leggermente laterale, centrando il dipinto sulla parte sinistra della facciata e sulla torre di San Romano: gli edifici adiacenti rafforzano il carattere realistico dell’immagine.
Il monumento gotico, disperso in uno spazio le cui uniche coordinate sono le piccole abitazioni e il volo di rondini che suggerisce l’altezza vertiginosa della torre, non ha più volume, ma è ridotto a uno schermo obliquo, un “tessuto” di colori creato dalla luce radente del mattino. L’inquadratura ravvicinata accentua quest’effetto, ingrandendo l’immagine fino a farle occupare l’intera superficie del dipinto e riducendola a una visione parziale.
Il pittore adotta una tecnica rapida, fatta di pennellate rapprese, di tocchi di virgole, evita di sfumare i colori e di mescolarvi il bianco o il nero per schiarirli o scurirli. Le ombre sono rese non tramite toni neutri, quelli che si otterrebbero dalla mezcolanza, ma giustapponendo e sovrapponendo spessi tocchi di colore puro, che si influenzano reciprocamente, a un diverso grado di luminosità rispetto alle parti in pieno sole. Dalla stratificazione dei colori risulta una matericità, cioè uno spessore materiale del colore sulla tela, che restituisce le vibrazioni date dalla scabrosita della pietra scolpita. La forma, liberata dal più piccolo residuo di linea di contorno, è definita dall’incidenza della luce.
Nonostante l’interesse prevalente per gli effetti di luce e di colore, in questo periodo di maturità il dibattito contemporaneo sulla pittura, orientato da una nuova sensibilità per la composizione e per l’immagine portatrice di significato, in opposizione al frammento e all’ impressione, suggerisce a Monet una rinnovata attenzione al soggetto, al contenuto. La cattedrale gotica, con la sua monumentalità, la sua magnificenza e il suo valore di luogo sacro, conferisce al dipinto un’intensità mistica  inedita nei paesaggi e nelle colazioni sull’erba. La veduta, perfezionata prima come impressione ottica, diviene ora simbolo di una realtà interiore.






Fonti:
Le basi dell'arte, Dal Neoclassicismo a oggi, Elena Demartini, Chiara Gatti, Lavinia Tonetti, Elisabetta P. Villa.
Storia dell'arte, L'Ottocento, Gillo Dorfles, Francesco Laurocci, Angela Vettese.
Itinerario nell'arte. Volume 3, Dall'Età dei Lumi ai giorni nostri. Giorgio Cricco, Francesco Di Teodoro.
Moduli di Arte, Dal Neoclassicismo alle avanguardie,  Rielaborazione di testi di Storia dell’arte italiana a cura di: Clara Calza, Edoardo Varini.