L'ILLUMINISMO
La seconda metà del Settecento e il primo ventennio dell'Ottocento sono periodi di grandi cambiamenti. Le scoperte di Galileo Galilei e Isaac Newton e la diffusione del pensiero scientifico avevano prodotto in molti la convinzione che la scienza avrebbe potuto recare la felicità agli uomini. Tale idea era anche rafforzata dalla realizzazione di macchine che, sfruttando le nuove scoperte, aumentavano a ritmo vertiginoso la produzione ed erano in grado di alleviare il lavoro degli operai.
Le macchine contribuirono notevolmente alla creazione delle grandi industrie e modificarono radicalmente ritmi e modi di lavoro. Questo fenomeno, che prese il nome di Rivoluzione Industriale, portò alla scomparsa di numerose botteghe artigiane, all'abbandono delle campagne e al relativo affollamento delle città (urbanesimo), specie di quelle industriali.
Coloro che riuscirono a creare grandi industrie possedevano non solo i mezzi di produzione (cioè i macchinari), ma anche il capitale (cioè il denaro per procurarseli e mantenerli). Chi, invece, prestava il proprio lavoro (gli operai) era ricco solo della prole (cioè dei figli da mandare a loro volta a lavorare) e veniva pertanto definito proletario. Le condizioni di vita dei proletari erano molto disagevoli e le abitazioni in cui essi vivevano – spesso di proprietà degli stessi datori di lavoro – erano malsane. Tale situazione fu alla base della nascita, tra il 1815 e il 1848, sia del socialismo utopistico sia di quello detto scientifico. Contrariamente a quel che era capitato nei secoli precedenti, non fu la nobiltà ad approfittare della nuova situazione economica, ma la borghesia.
Contemporaneamente allo svilupparsi del processo d'industrializzazione si fecero spazio nuove idee ottimistiche, maturate assieme alla convinzione di una sicura felicità per l'uomo che, non più soggetto alla durezza del lavoro fisico, era aiutato anche dai progressi della scienza.
L'ottimismo veniva dalla fede nelle capacità intellettive degli uomini i quali, con la sola ragione, sarebbero stati in grado di liberarsi dalle vecchie idee, dai pregiudizi, dall'ignoranza e dalla superstizione. Le tenebre in cui l'uomo si dibatteva, quindi, sarebbero state rischiarate dalla luce della ragione. Da ciò il termine Illuminismo, che indica l'atmosfera culturale caratterizzante il secolo XVIII, detto pure “secolo dei lumi”.
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Agricoltura, tavola illustrata
dall'Encyclopédie di Diderot e D'Alembert, 1751-72
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Le idee dell'Illuminismo -fiducia nel progresso, tensione verso una società giusta, uguaglianza di tutti gli uomini, tolleranza politica e religiosa, internazionalismo della cultura – vennero diffuse soprattutto dalla monumentale Encyclopédie ou Dictionnaire raisonné des sciences, des arts et des mètiers (Enciclopedia o dizionario ragionato delle scienze, delle arti e dei mestieri). Diretta dal filosofo Denis Diderot e dal matematico Jean-Baptiste Le Rond D'Alembert, il primo dei ventotto volumi apparve a Parigi nel 1751, mentre l'ultimo vide la luce nel 1772.
L'Illuminismo non poteva non influenzare anche la vita politica. Si deve ad esso, infatti, quel diffuso clima di desiderio di libertà e di eliminazione dei soprusi per la costruzione di un mondo migliore che condusse ad cosiddetto dispotismo illuminato: i sovrani andarono cioè incontro alle esigenze dei sudditi, ma senza rinunciare al proprio potere assoluto.
Se questo era quanto accadeva in tutta Europa, in Francia, dove l'Encyclopédie era stata proibita già dal 1752 come contraria al re e alla religione, i sovrani si rifiutarono di tener conto delle nuove idee e ciò condusse all'avvenimento più significativo e radicale del secolo, la grande e drammatica rivoluzione del 1789.
Dal cosiddetto “terzo stato”, sensibile al pensiero illuminista, stanco dei privilegi del clero e della nobiltà, parti l'azione rivoluzionaria che cominciò con la presa della fortezza della Bastiglia il 14 luglio 1789. La Francia, dilaniata dalla dittatura e dal Grande Terrore, dopo la decapitazione del re Luigi XVI e la nascita della repubblica, trovò uno sbocco alla crisi con il colpo di stato del 1799 a opera del generale Napoleone Bonaparte.
IL NEOCLASSICISMO
Il Neoclassicismo è la logica conseguenza sulle arti del pensiero illuminista. Nel secondo Settecento si affermano orientamenti estetici nei quali prendono importanza finalità come la promozione di un'umanità nuova, più semplice e libera, vicina alla natura e al tempo stesso capace di seguire la ragione. Il nuovo intellettuale, come era prospettato dalla voce “Filosofo” dell'Enciclopedia, doveva, tra l'altro, attribuire un valore pratico ed utile al sapere ed essere socialmente impegnato.
Assieme al rifiuto degli eccessi del Barocco e del Rococò, il Neoclassicismo guardava all'arte dell'antichità classica, specie a quella della Grecia che si era potuta sviluppare grazie alle libertà di cui godevano gli uomini delle poleis. In un primo momento questa ripresa classicistica si connotò soprattutto come reazione allo stile barocco e alle sue frivolezze, contrapponendo ai soggetti piacevoli ed edonistici temi di maggiore impegno e ai virtuosismi e agli illusionismi pittorici degli effetti più misurati, basati sulla compostezza della linea e sulla stesura uniforme del colore.
Il termine fu coniato alla fine dell'Ottocento con intento dispregiativo per indicare un'arte non originale, fredda e accademica.
Tuttavia esso ben comunica il desiderio di ritorno all'antico e la volontà di dar vita a un nuovo classicismo. Gli scavi di Ercolano e di Pompei proponevano agli sguardi attoniti dei contemporanei architetture, affreschi, statue, arredi, gioielli d'uso quotidiano di due cittadine di provincia sepolte dall'eruzione del Vesuvio nel 79 d.C.
Il movimento neoclassico ebbe come sede privilegiata Roma, fonte inesauribile d'ispirazione classica, il suo massimo teorico fu il tedesco Johann Joachim Winckelmann. Il mondo dei Greci e dei Romani assumeva il volto, negli scritti di Winckelmann e di altri teorici del movimento, di una perfezione ideale, confinata in una lontananza irrecuperabile eppure ancora capace di spingere gli artisti contemporanei all'emulazione del repertorio iconografico e figurativo e della mentalità degli antichi per farne rivivere lo spirito e, soprattutto, per interpretare gli ideali e sogni del presente.
La riflessione su ciò che è bello dal punto di vista dell'arte affonda le sue radici nel pensiero filosofico greco, ma solo col secolo XVIII si assiste alla nascita di una disciplina filosofica apposita, l'Estetica, finalizzata alla comprensione del bello e dell'arte. Il primo ad utilizzare in questi termini la parola estetica fu, nel 1735, il filosofo tedesco Alexander Gottlieb Baumgarten nel libro Aesthetica, e furono riprese poi da Immanuel Kant nella Critica del giudizio. La novità che si fa strada nel corso del secondo Settecento è invece proprio una concezione unitaria delle varie arti, per cui esse hanno in comune un medesimo riferimento ad un ideale di bellezza e si distinguono nettamente dalle tecniche, alle quali pure in passato veniva attribuito il nome di “arti”.
La spinta alla trasformazione era così profonda e radicale da sopportare però a fatica forme di compromesso o aggiustamenti dell'esistente, e da promuovere piuttosto progetti totalmente innovativi con soluzioni mai sperimentate prima. Gli architetti più in linea con simili tendenze, nella Francia degli anni precedenti e successivi alla Rivoluzione o nella Milano napoleonica, progettarono dunque interventi poco rispettosi della forma urbana quale si era sviluppata nel corso dei secoli (si veda il progetto di Giovanni Antonio Antolini per il Foro Bonaparte a Milano) oppure addirittura città pensate in forme del tutto inedite.
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Foro Bonaparte, Giovanni Antonio Antolini, veduta aerea
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Simili personalità sono chiamate “architetti rivoluzionari”, animati da una carica utopistica assoluta, così spinta in una direzione razionalista e funzionalista da rendere ben poco praticabile la traduzione in atto dei loro convincimenti.
Al francese Etienne-Louis Boullée, per esempio, dobbiamo fantasie architettoniche, affidate a una serie di progetti conservati presso la Bibliothèque Nationale de France a Parigi.
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Étienne-Louis Boullée, Sezione del Cenotafio di Newton,
1784, inchiostro e acquarello su carta,
40 x 66 cm., Parigi, Bibliothèque Nationale.
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A partire da tali presupposti nell'Ottocento nasce una nuova idea di bellezza basata sulla semplicità, che coniuga funzionalità, luminosità ed economicità mediante l'uso dei nuovi materiali: ferro e vetro. Joseph Paxton realizzò il Palazzo di Cristallo, Gustave Eiffel progettò la Torre per l'Esposizione universale del 1889, alta 300 metri con nessun altro scopo se non dichiarare lo slancio creativo della tecnologia e della modernità.
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Joseph Paxton, Crystal Palace a Londra,
1851, (distrutto), l'interno in una stampa dell'epoca
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Parallelamente alla diffusione del Neoclassicismo, in tutta Europa si manifestò la tendenza a impiegare elementi architettonici e decorativi tratti dal mondo orientale.
Il caso forse più interessante in Italia è costituito dalla Palazzina cinese nel Parco della Favorita a Palermo, progettata da Giuseppe Venanzio Marvuglia (1729- 1814) per Ferdinando IV tra il 1799 e il 1802. Si tratta di un curioso edificio in parte neoclassico e in parte ispirato a modelli cinesi. L'impianto neoclassico è evidente nella composizione proporzionata e simmetrica, nel pronao, nella loggia del piano più alto. Elementi di derivazione orientaleggiante, esotici e stravaganti, sono riscontrabili invece nel baldacchino che sovrasta il portico d'ingresso, nei pennacchi posti sugli angoli della costruzione e nelle scale cilindriche che affiancano l'edificio.
La stessa compresenza di elementi di origine diversa si ritrova all'interno, dove alcune stanze presentano motivi decorativi d'ispirazione cinese, altre mostrano affreschi in stile pompeiano. La libertà di accostamenti nell'architettura e nell'apparato decorativo è giustificata dalla destinazione d'uso dell'edificio, sorto all'interno del parco voluto dal re come riserva di caccia e luogo di diletto della corte.
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Giuseppe Venanzio Marvuglia, Palazzina cinese nel
Parco della Favorita a Palermo, 1799-1802,
facciata principale.
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NEOCLASSICISMO E ROMANTICISMO
Neoclassicismo e romanticismo costituiscono due importanti fasi di uno stesso processo storico e, pur sembrando a prima vista assolutamente antitetiche, risultano in realtà tra loro profondamente connesse sul piano artistico e culturale.
Secondo lo storico dell'arte Giulio Carlo Argan il Neoclassicismo “non è altro che una fase della concezione romantica dell'arte”, in quanto in entrambe le correnti si avrebbe il prevalere di un “fattore ideologico, talora esplicitamente politico” in sostituzione del “principio metafisico della natura come rivelazione”.
Mentre il Neoclassicismo si fa promotore del ritorno all'ordine, alla regolarità e alla disciplina, ispirandosi ai modelli classici, il Romanticismo esalta la fantasia, la sensibilità personale e la malinconia, esasperando il sentimento e rifiutando tutto ciò che si poteva in qualche modo ricollegare con il razionalismo illuminista che del Neoclassicismo aveva costituito la base teorica.
Gli artisti e gli intellettuali romantici, pur contrapponendosi in modo vivace a quelli neoclassici, hanno di fatto una formazione assai simile e sono nutriti degli stessi studi. I Neoclassici fanno appello direttamente al mondo della classicità greco-romana, mentre i Romantici, dal canto loro, tendono a riconoscersi nella spiritualità del Medioevo, visto come periodo di origine dei sentimenti e dell'orgoglio nazionali.
Il modo di vedere e di sentire la natura, ad esempio, rende perfettamente l'idea della radicale contrapposizione ideologica dei due movimenti. L'uomo romantico si sente parte integrante della natura e vi si immerge profondamente, personalizzandole e modificandola in funzione dei propri stati d'animo e delle proprie necessità espressive. L'uomo neoclassico, al contrario, si sforza di rimanerne estraneo e di indagarne razionalmente le caratterisitche al fine di padroneggiarla, negandole volutamente qualsiasi valore poetico ed espressivo.
In un caso e nell'altro, comunque, l'arte tende a diventare stile, cioè insieme omogeneo di regole, di tecniche e di contenuti facilmente individuabili e altrettanto facilmente trasmissibili attraverso le scuole d'arte e le accademie. In questo modo si arriva a creare una sorta di gusto nazionale egemone, generalmente ritenuto valido sia sul piano formale (estetico) sia su quello dei contenuti (etico) ottenendo il risultato di controllare (ed eventualmente contrastare) l'emergere di personalità o movimenti artistici in disaccordo con gli indirizzi ufficiali.
Inoltre nel corso dell'Ottocento si affermò una nuova soggettività dell'esperienza artistica, da cui dipese il superamento della tradizionale suddivisione dei generi artistici e del sistema di regole convenzionale, un fatto di portata enorme che diede avvio alla grande pittura inglese, tedesca e francese (Turner e Constable, Runge e Friedrich, Delacroix e Daumier).
Per quel che riguarda la pittura, al perfetto rigore formale di artisti quali David si preferiscono rappresentazioni di più immediata presa sul pubblico. Ai soggetti della mitologia classica se ne sostituiscono altri legati alle leggende ossianiche, alla tradizione favolistica locale e alla rappresentazione di una natura fortemente personificata. Alle atmosfere chiare e definite del repertorio neoclassico vengono così a sovrapporsi ambientazioni volutamente fosche, ricche spesso di riferimenti simbolici, magici e misteriosi. In questo modo gli artisti cercano di toccare il tasto dell'emozione e della sensazionalità piuttosto che quello della ragione e del contenuto, promuovendo il coinvolgimento emotivo e l'adesione passionale.
A questo tipo di pittura è strettamente connesso il sentimento del sublime. Secondo E. Burke, scrittore e uomo politico inglese del Settecento, il sublime consiste in quel misterioso e affascinante insieme di sensazioni che è possibile provare solo di fronte a certi Grandiosi spettacoli naturali. Nella sensibilità romantica il sublime si pone dunque all'estremo limite superiore della percezione del bello.
Un pittore neoclassico come David si fece interprete dei valori emergenti, collaborando fattivamente, con l'opera dipinta e con l'organizzazione delle feste repubblicane, all'affermazione degli ideali rivoluzionari. Negli anni dopo la Restaurazione, in relazione ai movimenti politici del primo Ottocento, talvolta come in Italia connessi al tema dell'indipendenza, i pittori e gli scultori assecondarono il dibattito teorico con un impegno costante e sincero (Delacroix per la Francia, Hayez per l'Italia).
Questa partecipazione agli eventi, anche drammatici ed esaltanti, convisse in alcune figure con la ricerca di una dimensione più intima e raccolta, come nel tedesco Friedrich, interessato a scrutare oltre il visibile e i limiti terreni, con una tensione verso l'infinito che è un altro cardine del Romanticismo.
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Caspar David Friedrich, Viandante sopra
il mare di nebbia, 1818, olio su tela, 95 x 75 cm,
Amburgo, Kunsthalle.
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Alla base degli sviluppi della teoria estetica ci fu un allargamento del pubblico coinvolto nel mondo dell'arte, a livello di fruizione ma anche di produzione. Cambiò anche la committenza, o per meglio dire si allargò, estendendosi dai soggetti tradizionali, la Chiesa e la nobiltà, a settori della borghesia che vedevano nell'acquisizione di un dipinto o di una scultura un mezzo di promozione sociale la cui efficacia era universalmente riconosciuta. Di qui la fortuna di generi quali quello del ritratto o quello del paesaggio.
Fatto fondamentale per lo sviluppo dell'arte nell'Ottocento fu l'invenzione della fotografia (dagli anni Trenta) con la sua rapida espansione. Tra le conseguenze, accanto alla possibilità di ottenere immagini assai fedeli e a basso costo in settori come la ritrattistica o la veduta, ci fu una crisi significativa della tradizionale modalità di visione dei pittori. Se la fotografia era in grado di riprodurre il reale in termini oggettivi, venivano meno le finalità mimetiche proprie dell'arte.
Accanto alla fotografia vanno inoltre considerate, per quanto riguarda la moltiplicazione delle immagini, nuove tecniche di riproduzione più rapide, economiche ed efficaci di quelle tradizionali: la litografia, l'acquatinta, l'incisione a colori.
Ne derivò un collezionismo borghese interessato alle stampe da arredo ispirate alle opere pittoriche dei filoni più popolari. Ne fu incrementato anche il mercato librario.
Contemporaneamente a un vistoso allargamento del pubblico degli amatori e degli appassionati d'arte, si andò sviluppando una critica d'arte impersonata, al livello più alto, da Charles Baudelaire, il quale iniziò la sua carriera letteraria proprio con gli articoli dedicati al Salon del 1845.
Fonti:
Le basi dell'arte, Dal Neoclassicismo a oggi, Elena Demartini, Chiara Gatti, Lavinia Tonetti, Elisabetta P. Villa.
Storia dell'arte, L'Ottocento, Gillo Dorfles, Francesco Laurocci, Angela Vettese.
Itinerario nell'arte. Volume 3, Dall'Età dei Lumi ai giorni nostri. Giorgio Cricco, Francesco Di Teodoro.