L’autore
Dopo un’iniziale esperienza come caricaturista, Claude Monet
(Parigi, 1840 – Giverny, 1926) viene avviato alla pittura di paesaggio en
plein air da Eugène Boudin, incontrato nel 1858. I primi quadri impressionisti, frutto di un
attento studio dal vero degli effetti di
rifrazione della luce e dei riflessi
sull’acqua, delle leggi dei colori
complementari e della luce-colore risalgono ai tardi anni sessanta. Nella
formazione di Monet, meno raffinata di quella di Manet e di Edgar Degas,
l’interesse per la fotografia è fondamentale, in relazione all’importanza che
per il pittore riveste lo studio di ciò che “impressiona” la retina.
Claude Monet, Regate ad Argenteuil, 1872, olio su tela, Parigi, Musée d'Orsay |
Ugualmente importante per l’evoluzione del suo linguaggio
formale è la pittura di John Constable (conosciuta a Londra nel 1870) e di
Turner, che lo influenza nella tecnica dell’accostamento di colori
complementari puri.
Di origini familiari assai modeste, trascorre la propria
fanciullezza a Le Havre. Fin da giovanissimo si dimostra assai versato nel
disegno e le sue scherzose caricature sono molto apprezzate tra parenti e
amici.
L’interessamento di una ricca zia dette al giovane Monet la
possibilità di trasferirsi a Parigi per frequentare una scuola d’arte.
Nonostante le assicurazioni date in famiglia però, egli non
si iscrisse mai a dei regolari corsi accademici e le sue prime frequentazioni
furono quelle degli ambienti artistici vicini al più anziano Manet, già alle
prese fin da allora con le bizzrre giurie dei Salons.
Nel 1862 Monet è a Parigi dove conosce, tra gli altri,
Pissarro e Degas. Al posto dell’insegnamento
accademico, percorreva la campagna dipingendo en plein air e reagendo ai mutevoli effetti della luce e della percezione
dei colori. L’incontro con Manet e con gli altri frequentatori del Café
Guerbois arricchì enormemente il suo bagaglio d’esperienze.
Quando, nel 1874, ebbe luogo la prima esposizione degli
Impressionisti, fu proprio un dipinto che Monet aveva realizzato due anni
prima, Impressione, sole nascente,
a far nascere l’etichetta del gruppo, allorché il critico della rivista
“Charivari” Claude Leroy si riferì al
titolo dell’opera per ironizzare sugli artisti espositori, definendoli,
appunto, “impressionisti”.
Per un certo periodo si trasferisce ad Argenteuil, un
paesetto circa trenta kilometri a nord-ovest della capitale, dove può dipingere
standosene isolato dal mondo, completamente immerso nella natura e nelle
sensazioni che essa gli suscita.
I soggetti preferiti da Monet, che spesso lavorava su un
battello adibito a studio, erano la Senna e le barche a vela; l’artista
tuttavia non trascurava neanche la rappresentazione della vita cittadina, come,
per esempio, nei sette dipinti dedicati alla Stazione Saint-Lazare. Lo
scrittore Emile Zola, che da parte sua
cercava di tradurre nel romanzo il movimento della vita moderna, ne era
entusiasta.
Claude Monet, La Stazione Saint-Lazare, 1877, olio su tela, Parigi, Musée d'Orsay |
Impressione, sole
nascente
Il dipinto Impressione, sole nascente,
realizzato nel 1872, inizialmente non aveva titolo e quando, in occasione
dell’esposizione del 1874 nello studio di Nadar, gli chiesero che cosa scrivere
sul catalogo, risposi: “scrivete Impressione”.
Non vi è alcuna traccia
di disegni preparatori e dunque il colore è dato direttamente sulla tela, con pennellate brevi e veloci. Ogni oggettività naturalistica del soggetto è
superata e stravolta dalla volontà di Monet di trasmetterci attraverso il
dipinto le sensazioni provate osservando
l’aurora. Egli non vuole più descrivere la realtà ma vuole cogliere
l’impressione di un attimo, diversa e autonoma rispetto a quella dell’attimo
immediatamente precedente e di quello successivo.
L’uso giustapposto di
colori caldi (il rosso e l’arancio) e freddi (il verde azzurrognolo) rende
in modo estremamente suggestivo il senso della nebbia del mattino attraverso il
cui manto si fa lentamente strada un sole inizialmente pallido, i cui primi
riflessi aranciati guizzano sul mare, evidenziati con straordinaria incisività
da pochi e già sapientissimi tocchi di pennello.
Claude Monet, Impressione: sole nascente, 1872, olio su tela, Parigi, Musée Marmottan |
Cattedrale di Rouen
Approfittando di un soggiorno forzato a Rouen nel 1892, Monet
inizia la serie ispirata alla
cattedrale, cui lavorerà per più di due anni.
I cinquanta dipinti della serie, datati indistintamente
1894, risalgono infatti al biennio
1892-1894. L’artista dipinge la facciata dalla finestra della medesima stanza
d’affitto e da una bottega vicina in diverse
condizioni climatiche (sole, pioggia, nebbia)
e a diverse ore del giorno. La cattedrale di Rouen è riprodotta nelle più
diverse situazioni di luce, determinate dalle condizioni atmosferiche e dall’ora del
giorno, con il ricorso a una gamma
cromatica molto ampia. Alla variabile atmosferica si somma, nella serie di
Rouen, quella delle diverse angolazioni da cui è vista la facciata.
Claude Monet, alcune delle della serie La Cattedrale di Rouen |
La serie delle cattedrali segue quelle dedicate ai Covoni
e ai Pioppi:
la ripetizione del medesimo soggetto consente al maturo artista, da
sempre restio a considerare definitivamente conclusa un’opera, una
rielaborazione continua. Monet spiegò le
ragioni della pittura “in serie”. Raccontò che all’inizio aveva immaginato due
tele, una per il cielo grigio e l’altra per una giornata di sole. Dipingendo i Covoni scoprì che gli effetti della luce
cambiavano continuamente, e decise di
registrare la sucessione di mutamente in
una serie di tele, una per ogni specifico effetto. In questo modo riuscì a
ottenere quella che chiamava “istantaneità”,
e insistette sempre sull’importanza
di smettere di lavorare su una tela quando l’effetto di luce cambiava, per
continuare su un’altra, “in modo da ottenere l’impressione vera di un aspetto
della natura e non un dipinto composito”
Diciotto di queste tele che hanno come soggetto la facciata,
ripresa in una sequenza che va dall’alba al crepuscolo, Monet le termina in
studio, quando non ha più il modello davanti agli occhi.
La facciata della famosa cattedrale gotica perde la sua
precisa identità, anche per il punto di
vista ravvicinato che stravolge i contorni (senza contare che il taglio
adottato è tale da escludere, in alcuni “pezzi” della serie, certe parti, alla
sommità o ai lati, del monumento).
Armonia bianca, nasce dall’impatto
tra la luce accecante del primo sole e la tonalità sorda della pietra della
cattedrale, che smorza il bagliore dell’alba e lo riflette nell’aria tersa. Il
bianco, il non-colore della luce, si ottiene sommando i sette colori
dell’iride, come avvertono per primi gli impressionisti. Già all’inizio degli
anni settanta Monet aveva dedicato particolare attenzione agli effetti della luce sulle superfici chiare, studiando
la proiezione delle ombre sulla neve, sulla quale non poteva esserci del nero,
mentre vi comparivano i colori riflessi dagli oggetti che proiettavano quelle
stesse ombre. Per Armonia bianca l’artista
adotta una posizione leggermente laterale, centrando il dipinto sulla parte
sinistra della facciata e sulla torre di San Romano: gli edifici adiacenti
rafforzano il carattere realistico dell’immagine.
Il monumento gotico, disperso in uno spazio le cui uniche
coordinate sono le piccole abitazioni e il volo di rondini che suggerisce
l’altezza vertiginosa della torre, non
ha più volume, ma è ridotto a uno schermo obliquo, un “tessuto” di colori creato dalla luce radente del mattino. L’inquadratura ravvicinata accentua
quest’effetto, ingrandendo l’immagine fino a farle occupare l’intera superficie
del dipinto e riducendola a una visione
parziale.
Il pittore adotta una tecnica
rapida, fatta di pennellate rapprese, di tocchi di virgole, evita di sfumare i colori e di mescolarvi il
bianco o il nero per schiarirli o scurirli. Le ombre sono rese non tramite toni
neutri, quelli che si otterrebbero dalla mezcolanza, ma giustapponendo e sovrapponendo spessi tocchi di colore puro, che si
influenzano reciprocamente, a un diverso grado di luminosità rispetto alle
parti in pieno sole. Dalla stratificazione
dei colori risulta una matericità, cioè uno spessore materiale del colore
sulla tela, che restituisce le vibrazioni
date dalla scabrosita della pietra scolpita. La forma, liberata dal più piccolo residuo di linea di contorno, è
definita dall’incidenza della luce.
Nonostante l’interesse
prevalente per gli effetti di luce e di colore, in questo periodo di
maturità il dibattito contemporaneo sulla pittura, orientato da una nuova sensibilità per la composizione e
per l’immagine portatrice di significato, in opposizione al frammento e all’
impressione, suggerisce a Monet una rinnovata
attenzione al soggetto, al contenuto. La cattedrale gotica, con la sua monumentalità, la sua magnificenza e il suo valore di luogo sacro, conferisce al
dipinto un’intensità mistica inedita nei paesaggi e nelle colazioni
sull’erba. La veduta, perfezionata prima come impressione ottica, diviene ora simbolo di una realtà interiore.
Fonti:
Le basi dell'arte, Dal Neoclassicismo a oggi,
Elena Demartini, Chiara Gatti, Lavinia Tonetti, Elisabetta P. Villa.
Storia dell'arte, L'Ottocento, Gillo Dorfles,
Francesco Laurocci, Angela Vettese.
Itinerario nell'arte. Volume 3, Dall'Età dei
Lumi ai giorni nostri. Giorgio Cricco, Francesco Di Teodoro.
Moduli di Arte, Dal Neoclassicismo alle
avanguardie, Rielaborazione di testi di
Storia dell’arte italiana a cura di: Clara Calza, Edoardo Varini.